Tra nostalgia ed emozione. Auguri a Vujadin Boskov, indimenticabile maestro

Da tempo non appare in televisione né sui giornali, ritiratosi a vivere una vecchiaia purtroppo non del tutto serena, eppure Vujadin Boskov continua a popolare le nostre giornate tanto nei ricordi delle indimenticabili gesta della Sampd’oro, quanto per le sue celebri dichiarazioni sibilline e spesso lapalissiane che fanno ormai parte del nostro linguaggio calcistico quotidiano.
“Non ho bisogno di fare la dieta, ogni volta che entro a Marassi perdo tre chili”. Una frase che in questa nefasta stagione avrebbe potuto pronunciare qualunque tifoso blucerchiato giunto allo stadio per sostenere la Samp in un momento sofferto, ma queste parole appartengono al mago di Novi Sad, al pari di “Rigore è quando arbitro fischia”, “I pali e le traverse sono tiri sbagliati” e “Non si possono prendere quattro goal da una squadra che passa la nostra metacampo tre volte”.
Non si può certo ridurre ciò che Boskov rappresenta per il calcio, e per il mondo blucerchiato in particolare, ai suoi “aforismi calcistici”; di allenatori così, probabilmente, non ne esistono più. Il tecnico serbo ha saputo unire persona e personaggio con spontaneità, diventando sì involontariamente “comico” in alcune conferenze stampa, ma trasformandosi in un fine stratega tatticamente e nella gestione dello spogliatoio. Nella sua concezione del calcio l’allenatore doveva essere “maestro, amico e poliziotto” e la sua straordinaria abilità era quella di alternare sapientemente i tre ruoli nel momento opportuno, orchestrando la sinfonia di talenti della Samp di Paolo Mantovani. Ne scaturì un’alchimia perfetta che portò, uno dopo l’altro, a trionfi indimenticabili in Italia ed in Europa: due Coppe Italia (’87-’88, ’88-’89), uno Scudetto (’90-’91), una Coppa delle Coppe (’89-’90) una Supercoppa Italiana (1991), oltre ad una finale di Coppa dei Campioni alla prima partecipazione alla competizione. Con Boskov alla guida Cenerentola divenne Regina sotto i riflettori.
Boskov e la Samp si sono incontrati per la prima volta nel 1961, quando l’allora centrocampista raggiunse il limite di età consentito per essere tesserato in una squadra non jugoslava. Solo 13 presenze, per via di alcuni problemi fisici, poi la chiusura dell’attività professionistica nello Young Boys, in cui iniziò la carriera di allenatore. Nessuno all’epoca avrebbe potuto immaginare che quell’uomo schietto, saggio e genuino sarebbe stato il traghettatore del vascello blucerchiato in un oceano inesplorato di emozioni.
Quando capita di imbattersi in dibattiti televisivi in cui i partecipanti parlano dell’importanza del carisma di un allenatore e si interrogano su quanto questa figura incida sulla fisionomia della squadra rispetto alle qualità dei singoli, mi capita di pensare all’armonioso equilibrio della Samp dei trionfi: un Presidente innamorato circondato da collaboratori competenti, giocatori talentuosi e convinti di poter realizzare un progetto ambizioso, un tecnico capace di fare da mediatore, di imporsi con paternale fermezza, di farsi rispettare ed amare al tempo stesso. Vujadin era solito dire: “Un grande giocatore vede autostrade dove altri solo sentieri”. Certamente, ma avere un allenatore come lui ad indicare la strada giusta è stata una marcia in più.
Auguri Vuja per i tuoi ottant’anni: oggi come allora resti nei cuori di tutta la tifoseria blucerchiata che ti ha conosciuto, vissuto, ma soprattutto continua a ricordarti con la nostalgia e l’affetto che si riservano solo alle persone care.
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