ESCLUSIVA SN - 1946, Nuti: "Fortune e sfortune di Bruno Mora, ala destra dal talento puro"

11.03.2015 19:46 di  Lidia Vivaldi   vedi letture
ESCLUSIVA SN - 1946, Nuti: "Fortune e sfortune di Bruno Mora, ala destra dal talento puro"
© foto di Sampdorianews.net

La storia blucerchiata raccontata attraverso gli aneddoti, gli episodi, e i ricordi di chi l’ha vissuta: la nuova puntata della rubrica “1946" di Sampdorianews.net dedicata ai 68 anni della Sampdoria, ospita come narratore per l’album dei ricordi blucerchiati Beppe Nuti, giornalista di Telenord, che tratteggia il ritratto di uno dei giovani campioni blucerchiati della fine degli anni ’50, l’ala destra Bruno Mora.

“Quando parlo di Bruno Mora parlo di un grandissimo campione, ma anche di un grande rimpianto, perché il destino può avere mille facce, da quella accattivante della vittoria, agli occhi bassi della sconfitta. Si parla di un giocatore che è stato un mito, un eroe, un ragazzo che però è stato anche sfortunato. Dopo la trafila nelle giovanili esordì nella Sampdoria come la classica ala all’antica, come Meroni o Best, il giocatore che andava via sulla fascia con dribbling ubriacanti e creava superiorità numerica mettendo in mezzo palloni per gli attaccanti di quella grande squadra che ottenne, negli anni in cui Mora militò in blucerchiato, un quinto e poi un ottavo posto. Era una Sampdoria eccezionale, con un attacco composto da Mora, Ocwirk -il grande “Ossi”-, Recagno, Milani e Cucchiaroni, mentre successivamente accanto a Mora, Ocwirk e Cucchiaroni, c’erano Toschi e Skoglund. Dopo tre stagioni a Genova si trasferì a Torino, sponda bianconera, proprio quando la Samp raggiunse lo storico quarto posto, dietro solo a Juve, Milan e Inter, una formazione storica con Rosin, Vincenzi, Marocchi, Bergamaschi, Bernasconi, Vicini –futuro commissario tecnico-, Toschi, Ocwirk, Brighenti, Skoglund e Cucchiaroni.

Mora, parmigiano classe ’37, fu sfortunato perché, dopo aver vinto due Scudetti, uno con la Juventus e uno con il grande Milan di Rivera e Trapattoni, una Coppa Italia e una Coppa dei Campioni a Wembley contro il Benfica di Eusebio, partecipò con la maglia della nazionale all’infausta trasferta in Cile del ‘62, macchiata dalla “Battaglia di Santiago”, mentre dovette rinunciare al Mondiale del 1966 in Inghilterra perché, da giocatore generosissimo che incassava molti colpi, subì un grave infortunio in uno scontro di gioco con il portiere Spalazzi nella gara contro il Bologna, rompendosi tibia e perone.

Era il pupillo di Monzeglio, cresciuto nel vivaio blucerchiato, ed era più che una promessa, era un campione fatto in casa, come tanti altri che ebbe la Sampdoria in quell’epoca. Il suo derby d’esordio, nel ’57-’58, fu giocato alla settima giornata, e la Sampdoria fu sconfitta dopo essere passata in vantaggio: una batosta che può lasciare il segno, ma il ragazzo ebbe la voglia di non abbattersi e di rifarsi con tante sfide importanti e battaglie sul campo. Realizzò la sua prima rete contro l’Udinese, nella sua prima stagione in cui collezionò soltanto poche presenze, ma arrivò a segnare 20 gol nelle sue 65 presenze in blucerchiato. Era forse il giocatore tecnicamente più bravo, e parliamo di un ruolo, l’ala, diventato poi importantissimo. Un ruolo che ha fatto la fortuna dei centravanti, come Brighenti, Recagno, Milani, che hanno davvero sfruttato al meglio il gioco prodotto dagli esterni. Era anche un ruolo rischioso, perché all’epoca tutte le squadre di alta classifica avevano dei difensori come Salvadore, Castano, Burgnich, Facchetti, Rosato, Poletti che mettevano in crisi i giocatori più tecnici con la loro cattiveria agonistica.

Per un giocatore un po’ timido, con un fisico esile, ma dotato di grande dribbling e gioco di gambe, dopo la bella avventura con la Sampdoria, e i trionfi con Juventus e Milan, con cui giocò più di cento partite, ci fu il ritorno a Parma, dove rimase anche dopo aver smesso di giocare, occupandosi del settore giovanile. Lì poi il destino se lo portò via, ad appena 49 anni, a causa di un brutto male. Io che l’ho visto giocare dal vivo lo immagino giocare ancora lassù, con Meroni, e sfidare le grandi ali del passato a chi riesce a scartare di più.

La caratteristica di questo personaggio è stata proprio l’alternanza di fortuna e sfortuna: ha avuto un esordio positivo, in una grande squadra, con un grande allenatore, ha avuto l’opportunità di vincere tutto con le maglie di Milan e Juventus, ma ha poi incontrato la sfortuna che lo ha spento ancora giovane. Rimane nell’immaginario di tutti un eroe sportivo: ancora adesso quando i padri o i nonni parlano di Mora ai ragazzi, parlano di un giocatore che ha dato spettacolo, e anche se restò alla Samp soltanto dal ’57 al ’60, la sua classe e i successi nelle giovanili, con la vittoria nel Torneo di Viareggio, lo resero un giocatore beniamino dei tifosi. Quando si involava sulla fascia, lasciando sul posto i giocatori avversari, la Sud e tutto lo stadio impazziva. Non solo i tifosi blucerchiati, ma anche gli sportivi in generale, che ammiravano le sue prestazioni in Azzurro. Giocatori come Bruno Mora, o Meroni, lasciano il segno, indipendentemente dalla maglia che portano, alla stregua di grandi campioni come Garrincha, Jairzinho o Best, a cui non avevano nulla da invidiare.

Mora era davvero un beniamino, e la sua cessione alla Juventus lasciò delusi i tifosi, anche se dal club bianconero arrivarono molti soldi ed un certo Lojodice, che i meno giovani ricorderanno non essere stato un grande giocatore. Anche all’epoca era importante ricavare risorse dai giovani cresciuti nel vivaio, nonostante il tifoso ci rimanga male, e lo senta quasi come un "tradimento", cosa che in realtà non è. L’anno dopo, infatti, la Sampdoria arrivò quarta, ottenendo quello che sarebbe stato il più grande risultato della sua storia fino ai successi di Mantovani e Garrone.

L’immagine di Mora che vorrei conservare è quella che, dopo aver smesso di giocare, ha deciso di allenare non una squadra di Serie A, ma i ragazzi del Parma, che al suo funerale lo salutarono come un mito. È stato per molti anni sotto le luci della ribalta, e queste si sono spente forse nel momento migliore della sua vita”.