SN - La STORIA si chiama SAMPDORIA: Luisito Suarez

02.05.2020 12:31 di  Redazione Sampdoria News   vedi letture
SN - La STORIA si chiama SAMPDORIA: Luisito Suarez
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Parte oggi un nuovo contenuto targato Sampdorianews.net dedicato alla storia della Sampdoria, andando ad aggiungersi alle interviste concentrate alle partite del passato, “Giocavamo insieme, sempre io e te...”, e la rubrica “1946”, curata dal nostro Guido Pallotti. Campioni, personaggi, storie, episodi, annedoti, ripercorrendo tutta la storia della Sampdoria. La squadra che tifiamo è quella dei giorni nostri grazie ad un lungo percorso, ogni giorno ha contribuito a costruirla, fortificarla, metterla alla prova tra gioie e sofferenze. Non conta quando siamo nati, se c'eravamo o meno, conta quando è venuta al mondo la Sampdoria, perchè si è Sampdoriani da sempre, già prima di nascere. Alla carriera di Luisito Suarez, nato il 2 maggio 1935 è dedicato il primo numero di  “La storia si chiama Sampdoria”:

La carriera in club e nazionale: il 2 maggio 1935 a La Coruna nacque Luis Miramontes Suarez. Un Fenomeno autentico fin dai primi passi, quando il Barcellona nel 1953, a soli diciotto anni, lo acquistò per la bellezza di due milioni. La sua esperienza in blaugrana è fantastica: 216 presenze dal 1953 al 1961 con 112 reti realizzate, due campionati, due edizioni della Coppa delle Fiere e della Coppa di Spagna. Nella Nazionale maggiore spagnola colleziona 31 presenze con ben 13 reti. Dopo la conquista del pallone d'oro nel 1960 si trasferisce all'Inter seguendo il tecnico Helenio Herrera, contribuendo a scrivere nuove pagine della storia neroazzurra grazie alla gestione morattiana: tre scudetti, due Coppe dei Campioni, altrettante Coppe Intercontinentali. Il suo contributo di eccellente classe non si fa mancare nemmeno in Nazionale, facendo la differenza per la conquista del titolo europeo nel 1964. La lunga esperienza interista termina dopo nove campionati, con il passaggio in blucerchiato nel 1970. 9 reti realizzate in 63 presenze nell'arco di tre stagioni. Appende gli scarpini al chiodo all'età di trentotto anni.

L'esperienza blucerchiata: non parliamo di un campione andato in Liguria per svernare, “semplicemente” parliamo di un fenomeno, autentico professionista approdato a 35 anni alla Sampdoria con stimolo, voglia di incidere e desiderio di incantare il pubblico, calandosi perfettamente nella mentalità della compagine di quei tempi. Chi ha avuto la fortuna di poterlo ammirare sul terreno di gioco si è innamorato del suo destro, capace di verticalizzare e riaprire gli sbocchi di manovra con cambi gioco al bacio, senza mai far venire meno il “lavoro sporco”, con abnegazione e grinta per aiutare il compagno in difficoltà.

A distanza di anni non lo ha mai nascosto in ogni occasione, definendo bellissimi i tre anni vissuti in blucerchiato, rifiutando la voce che riportava il suo presunto malcontento per il trasferimento. Non gli era andata giù soltanto la mancata comunicazione dell'Inter, se non avesse davvero voluto venire alla Sampdoria lo avrebbe fatto presente e così non fu. Il cambio di mentalità, da club capaci di vincere tutto a livello nazionale e continentale alla realtà di quei tempi, non fu semplice, come del resto la nostalgia delle serate di coppe europee. 

Ci furono diverse occasioni per incontrare da avversario l'Inter, indossando la maglia più bella del mondo, in primis il 9 gennaio 1972 quando a Milano il risultato finale fu un pirotecnico 4-4. Boni, approfittando di un'incertezza di Bordon, Boninsegna, Corso, Boninsegna, un siluro di Santin, ancora Boninsegna, l'imparabile diagonale di Lippi e proprio Luisito ad un paio di giri d'orologio dal triplice fischio finale, su rigore concesso per fallo di mano di Facchetti. Il primo campionato lo visse da protagonista, con la fascia di capitano e 5 goal realizzati, con la salvezza raggiunta per differenza reti a sfavore del Foggia. Non mancarono i patemi fino alla fine, messi in archivio con il successivo ottavo posto in campionato e Luisito ancora con uno spazio di primo piano, testimoniato da giocate di grande classe efficaci per la manovra, quattro reti in ventisette presenze.

Luisito Suarez, i gioielli, le giocate di classe a 35 anni, non mancarono. Nel 1971 le cronache dedicano spazio alla prestazione da trascinatore da copertina nel 3-0 ai danni del Verona, mandando con eleganza e precisione in goal Sabadini, Salvi e Cristin. Non si può dimenticare il prezioso 2-2 sul campo del Foggia, con una pennellata al bacio dello spagnolo e il goal di grande impatto realizzato da Fotia a ribaltare lo svantaggio iniziale per il rigore provocato dal fallo di Sabatini. Nel finale la punizione di Montefusco decretò il pari. Contro l'Inter virtualmente campione d'Italia lo spagnolo andò a segno dal dischetto realizzando il goal dell'ex, una soddisfazione solo personale considerando l'assolo di Mazzola e la doppietta dagli undici metri di Boninsegna.

Nell'anno successivo ogni sua fiammata faceva cambiare binario al match; per più di una frazione la Roma, impreziosita in estate dall'arrivo di Roberto Vieri, non riuscì a trovare il bandolo della matassa dinanzi alla giornata top del campione spagnolo. I giallorossi vennero fuori soltanto approfittando del calo fisico degli ultimi minuti e devono ringraziare un contestato goal di Amarildo nel finale per assicurarsi i tre punti. A Santo Stefano arrivarono due punti fondamentali prevalendo sul Varese, determinanti i sigilli di Cristin, lesto ad approfittare di una corta respinta del portiere, e dal dischetto di Suarez, appena rientrato da un infortunio.

Il rapporto con i tecnici: “Dottor Bernardini eccezionale, sapeva come ottenere il massimo da ogni singolo calciatore, lasciando a loro l'iniziativa per responsabilizzarli”. Più complicata la quotidianità con Heriberto Herrera: “Cambiò tutto, ti assillava giorno e notte”, ma la professionalità dello spagnolo non cambiò di un millimetro.

Il terzo anno fu complicato a livello fisico, soltanto otto presenze, un infortunio stravolse ogni programma: “L'anno dopo mi feci male ad un piede e decisi di smettere a fine stagione, mi regolavo di anno in anno”. Le sue dichiarazioni d'affetto nei confronti della Sampdoria non sono mai mancate: “Mi sono trovato bene, sapevano cosa si aspettavano da me dirigenti e tifosi e ho fatto il possibile per darglielo. A Nervi stavo d'incanto, ci ho lasciato un pezzo di cuore”.

La situazione blucerchiata al suo arrivo: in vista del campionato 1970 – 1971 mister Bernardini non ebbe pretese da sogno da chiedere al Presidente Colantuoni, la priorità era rappresentata da un attaccante in grado di andare in doppia cifra, facilitando l'agognato salto di qualità della squadra, spesso e volentieri l'elemento di differenza tra una stagione vissuta tra patemi oppure nell'anonimato e un'annata con diverse soddisfazioni. In uscita Nielsen, in entrata dall'Inter il panchinaro Spadetto e soprattutto il leggendario Luisito Suarez, in una sessione di mercato che non lasciò comunque perplessità e polemiche, in primis per la cessione in neroazzurro di Mario Frustalupi, ritenuto l'elemento indispensabile.

Fu ceduto anche Romeo Benetti, reduce dalla stagione di grande riscatto fisico e inevitabilmente caratterizzata da un rendimento ad alti livelli, la corte del Milan fece centro. Dai rossoneri arrivò Giovanni Lodetti, ancora nel pieno della carriera a 28 anni e reduce da un decennio sugli scudi con il fondamentale ruolo di “gregario” per un campione del livello di Gianni Rivera. Nelle casse doriane circa duecento milioni come conguaglio economico. Fu un mercato piuttosto movimentato in entrambe le direzioni, con l'arrivo dal Mantova di Pellizzaro come alternativa a Piero Battara, in difesa fu pescato dallo Spezia l'interessante terzino Marco Rossinelli, un cursore con il vizio del goal. Purtroppo gli anni passano e il pubblico dovette apprendere del ritiro del “Martello” Delfino.