ESCLUSIVA SN - 1946, Nuti: "Veder giocare Cerezo era come ascoltare una sinfonia di Beethoven o Mozart"

Intervista realizzata il 21 aprile 2016.
19.05.2016 12:46 di  Sandro Selis   vedi letture
ESCLUSIVA SN - 1946, Nuti: "Veder giocare Cerezo era come ascoltare una sinfonia di Beethoven o Mozart"
© foto di Sampdorianews.net

Il 21 Aprile 1955 nasceva a Belo Horizonte in Brasile uno dei più grandi centrocampisti della storia blucerchiata: Toninho Cerezo. Oggi, nel giorno del suo compleanno, per la rubrica "1946", Sampdorianews.net ha avuto il piacere di intervistare in esclusiva il noto giornalista Beppe Nuti.

"Nessun altro Paese al Mondo viene associato a uno sport come il Brasile al calcio. Bisogna attraversare questo immenso Paese, patria del bel gioco e conoscere gli straordinari interpreti che ci ha regalato. Per loro il calcio è magia, fanatismo, arte e anche religione se vogliamo. Non è un caso infatti che i verdeoro abbiano vinto cinque Coppe del Mondo. Lo stile di vita che hanno spazia in tutte le varie forme di arte, e si basa sull'impossibile, sul sublime, sull'eclettismo.

Quando organizzarono il Campionato del Mondo nel 1950, credevano di aver già vinto la Coppa ancor prima di scendere in campo nella poi rivelatasi epica finale allo stadio Maracanà. L'Uruguay contro pronostico si impose per 2-1 con reti di Ghiggia e Schiaffino, che insieme a Dino Sani, altro brasiliano, allevò un certo Gianni Rivera. Nella torcida brasiliana la delusione mista a disperazione fu atroce, tanto che si registrarono purtroppo dei suicidi di massa. 

Torniamo al protagonista della rubrica di oggi, Toninho Cerezo. Nasce appunto a Belo Horizonte il 21 aprile 1955 e muove i suoi primi passi da calciatore nelle giovanili dell'Atletico Mineiro, dove esordì in prima squadra collezionando 30 presenze. Dopo una breve parentesi nel Nacional, tornò nella squadra della sua città rimanendovi nove stagioni con uno score di 115 presenze e 6 reti. Arrivò poi in Europa, dove la Roma dell'allora Presidente Dino Viola lo acquistò nell'estate del 1983, quella post scudetto. Il patron romanista era grande amico di Paolo Mantovani, tanto è vero che gli prestò Vierchowod, gocatore che risultò poi determinante nella vittoria dello scudetto giallorosso. Alla corte di Nils Liedholm rimase tre stagioni collezionando 70 presenze e 13 reti, contribuendo alla conquista di 2 Coppe Italia e della sfortunata finale di Coppa Campioni del 1984, persa a Roma in finale contro il Liverpool. 

Nell'estate del 1986 approdò alla Sampdoria voluto fortemente dal Presidente blucerchiato Paolo Mantovani, che approfittò dei malumori del controcampista carioca col club della capitale. Rimarrà per sei stagioni sotto la Lanterna divenendo uno dei principali protagonisti della Sampd'oro di quegli anni. Fu il metronomo di quella grande squadra, in cui sapeva esattamente dove mettere il pallone ai vari Mancini, Vialli, Dossena, Lombardo. Mezz'ala a tutto tondo nel senso vero della parola, non disdegnava andare anche in rete.  Aveva un carattere scherzoso, solare e la capacità di trasmettere gioia a chi lo guardava, retaggio forse delle sue origini, in quanto proveniente da una famiglia di clown. Era il classico mediano che sapeva sia rubare una quantità infinita di palloni, che distribuirli poi di prima con grande efficacia. Un giocatore in epoca più recente accostabile per qualità tecniche e visione di gioco, fu Juan Sebastian Veron, anch'egli grandissimo interprete del ruolo. Con Mantovani stabilì un grande rapporto privo di formalismi. Possiamo ricordare come aneddoti le firme sui rinnovi di contratto nei posti più insoliti: dal polsino della camicia, ai menù del pranzo di nozze dello spagnolo Victor.

In sei stagioni sotto la guida di Boskov vinse due Coppe Italia (1988 e 1989), la Coppa delle Coppe nel 1990 e soprattutto lo storico scudetto del 1991, anno in cui mise in bacheca anche la Supercoppa Italiana in finale contro la Roma. Splendida la cavalcata nella Coppa Campioni del 1992, dove la Samp ebbe la meglio su squadre fortissime come la Stella Rossa Belgrado che poteva annoverare tra le sue fila giocatori del calibro di Savicevic, Mihajlovic Jugovic e Pancev. Vinse molto nella sua carriera anche se credo avrebbe potuto fare addirittura meglio. In Nazionale nel 1982, componeva insieme a Zico, Falcao e Socrates il "filosofo", un centrocampo a dir poco stellare. Anche in quel caso però, come nel 1950, peccarono di presunzione e vennero estromessi dall'Italia di Rossi per 3-2, in una partita in cui avrebbero potuto accontentarsi anche di un pareggio. 

Vedere giocare Cerezo era come ascoltare una sinfonia di Beethoven o Mozart. Era bravissimo a dettare i tempi di gioco coi suoi lanci millimetrici e la sua lunga falcata caracollante.  Difficilmente sbagliava una palla o una partita, era un sudamericano dal gioco europeo e dal carattere brasiliano. Toninho ha amato molto sia Roma che Genova. Dopo aver chiuso la sua esperienza nella Sampdoria,tornò in patria al San Paolo, dove fece in tempo a conquistare due Coppe Intercontinentali, la seconda battendo il Milan in finale. Poi, appesi gli scarpini al chiodo, da allenatore guidò l'Atletico Mineiro, il Guaranì poi nei Paesi Arabi l'Al Hilal e l'Al Shabab e per due stagioni i Kashima Antlers in Giappone. Un eterno ragazzo, nato per giocare a calcio. Quella sfera di cuoio è stata la sua vita e il suo modo di interpretarla. Cerezo per il calcio brasiliano ha rappresentato quello che sono stati Antonio Carlos Jobim e Jorge Amado rispettivamente per la  musica e la letteratura. Un vero artista del pallone".