Vecchia volpe e corvo nero

22.02.2014 07:37 di  Guido Pallotti   vedi letture
Vecchia volpe e corvo nero
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Il vecchio stadio Luigi Ferraris di Genova era gremitissimo, per l’incontro Sampdoria – Milan in quella domenica di primavera, alla metà degli anni settanta. Potrei pure consultare gli almanacchi alla ricerca del giorno, mese, anno. Non avrebbe però nessuna rilevanza.

La Sampdoria l’aveva perso quell’incontro, ma riferendomi a quel periodo, non c’era da stupirsi, con gli squadroni era sempre così. Faceva meraviglia semmai, un unico gol di scarto. I gradoni erano affollati al massimo e gli sbarramenti metallici strategicamente disposti, impedivano l’ecatombe con effetto slavina, se qualcuno da quelli superiori avesse fatto il ruzzolone.

Nella Gradinata Sud, l’aggettivo “mitica” le sarebbe stato attribuito soltanto dopo i meravigliosi anni della presidenza di Paolo Mantovani, che era riuscito a far diventare Genova “caput Europae”, gli Ultras Tito Cucchiaroni, stavano distribuendo del materiale coreografico.  Percorrendo il cammino centrale, quei giovani, con dei cartoni colmi di materiale folkloristico in spalla, procedevano seguiti da alcune ragazze che vi pescavano dentro e rifornivano con lanci i tifosi sistemati più in alto.

In uno di quei scatoloni c’erano degli oggetti simili alle trombette carnevalesche: manici sormontati da grandi pom-pom blucerchiati ed assieme ai tifosi  nella prima fila, io, mio cognato ed un altro amico, c’eravamo riforniti col sistema del self-service. L’amico aveva detto, esibendo l’espressione scaltra di chi la sa lunga: «Io me ne sono preso due» Pronta era stata la risposta della distributrice, che mi aveva strizzato l’occhio: «Lui sì che è una vecchia volpe.»  Inutile dire che per un po’ di tempo lo chia-mammo Old Fox.

Senza il minimo dubbio, la mattina di quella stessa domenica, quando il Santo, che aveva il compito di distribuire ai mortali il fabbisogno giornaliero di brutte figure, le aveva elargite, old fox ed io avremmo potuto essere incolpati di accaparramento illegale, di aggiotaggio. Successe che proprio davanti a noi un gruppo di ragazze urlavano come ossesse. Il loro florilegio, magari a paragone di quello delle tipe d’oggi, avrebbe anche potuto assomigliare ad una filastrocca per i bambini dell’asilo, tuttavia, per quei tempi rappresentava quanto di più scurrile le sbarbine d’allora potessero sfoggiare.

Uno slogan mi è rimasto impresso perché l’urlavano ogni volta che il golden boy del Milan riceveva la palla, ed a lui di palloni gliene passavano abbrettio. Al che io, spendendomi il mio primo coupon di grigie, avevo educatamente richiamato la loro attenzione: «Ragazze, se nella foga della partita mi scappasse di dire “cribbio”, non vorrei che vi scandalizzaste. Anzi, vi prego fin d’ora di scusarmi.» Mi avevano squadrato ed a ragione, come se fossi stato un alieno.

Ero uscito alla chetichella dal ristorante dove era in corso il pranzo di Comunione delle mie nipoti gemelle, insieme al loro padre ed avevo l’abbigliamento meno adatto per assistere ad un incontro di calcio. Insomma ero tappato: calzoni neri, giacca azzurra, camicia Oxford e cravatta Reggimental. Confesso, calzavo pure le scarpe nere e lucide con la fibbia dorata. Mancavano venti minuti circa alla fine ed il Milan era in vantaggio di un gol, quando uno dei nostri aveva sfiorato il gol del pareggio. L’oscenità che avevo sparato era stata terrificante. Una delle ragazze si era allora girata per dirmi: «Non mi sembra proprio che abbia detto “cribbio”». E due.

La Sampdoria riuscì nell’impresa titanica di pareggiare. Esultanza all’ennesima potenza. Abbracci con le tizie, la giacca azzurra impiastrata di rossetti e fard. Ma che se ne fregava. Era successo l’impossibile. Poi nel trepidante silenzio, si era udita nitida la voce di Old Fox: «Aspettiamo a cantare vittoria. Non sarebbe la prima volta che perdiamo in zona Cesarini.» Ed il Milan aveva segnato. «Ve l’avevo detto io.» Aveva rincarato la dose il Cassandro.

«Ma non potevate lasciarlo a casa sto corvo nero di m…?» Ci urlarono le ragazze e si allontanarono incavolate, girandosi ogni tanto e gesticolando, ce ne dissero quattro. Non potemmo dar loro torto. «Io lo sapevo che finiva così.» Sentenziò black crow. Allora pure mio cognato ed io lo mandammo a quel paese.